lunedì 13 ottobre 2025

Aikido, la fisica classica ed un po' di quantistica

C'è un potente parallelo fra l'Aikido e la fisica che mi è sfuggito per moltissimo tempo... fino a quando, un giorno, mi è cascata l'Aiki-mela sulla testa... e c'è stato subito un New-Tone!

Mi auguro ricordiate dalle reminiscenze delle scuole medie, qualora non l'avete studiata in un percorso universitario, che la fisica ci veniva presentata come Newtoniana era parecchio deterministica, sia che si parlasse di statica (corpi in equilibrio fra loro), di cinematica (corpi in movimento, ma privi di massa), che di dinamica (corpi in movimento, dotati di massa).

Cosa significa questo?


Se Marco partisse per andare in bicicletta ad Iwama e Morihei Ueshiba da Iwama partisse sempre in bici alla volta di Torino... è possibile sapere con buona approssimazione dove e fra quanto si incontreranno, se si conoscono le velocità medie con le quali pedalano e la distanza che separa Torino da Iwama.

In questo problema non si tengono in considerazione numerosi fattori: le masse di Marco e di Morihei (volgarmente detti "i pesi"), il fatto che le velocità sono istantanee e non medie, l'attrito dell'aria e dei perni delle ruote delle biciclette, che la strada non sarebbe né un alinea geometrica perfetta, né sarebbe sempre in piano...

Il risultato quindi viene approssimativo, ma accettabile per fare due conti della serva.

Analogamente accadrebbe se chiedessi: "Con che velocità cade sul tatami Marco se fosse caricato sulla schiena di Morihei Ueshiba e venisse proiettato con un koshinage?"

La velocità di caduta libera nel vuoto è pari alla radice quadrata di 2 volte l'altezza (da cui si cade) per l'accelerazione di gravità (g = 9,81 m/s^2)... quindi avremo:

h Morihei = 1,53 m (era piuttosto nano!)

h koshinage = circa h Morihei/2 = 0,765 m

V Marco = (2 x 0,765 x 9,81)^0,5 = 3,88 m/s ≃ 4 m/s

Sotto questa luce, un fenomeno può essere rappresentato SEMPRE in modo compiuto se si conoscono le leggi matematiche con le quali lo si approssima... e la stessa cosa accade anche all'Aikido classico/tradizionale: ci si allena avendo tutti i dati del problema ancora prima di svolgerlo...

- come ci attacca uke

- quale tecnica deve fare tori/nage

Il risultato può comunque differire da quanto sperato perché uke non ha seguito esattamente il migliore o il più chiaro degli attacchi, e/o tori non si è mosso come e/o quando avrebbe dovuto... perciò la tecnica appare più muscolare, meno fluida, etc... Sembra il grado di approssimazione che avevamo in precedenza, non tenendo conto dell'attrito dell'aria, delle forze di inerzia e di tutte le altre variabili coinvolte.

Nel mondo della scienza però, ad un certo punto, si indagò sulle parti costituenti la materia, su scala atomica, poiché ci si rese conto che i costrutti della fisica classica non si mostravano adeguati nell'infinitamente piccolo.

La fisica Newtoniana presupponeva che gli atomi fossero "palline" in una sorta di orbita intorno al nucleo degli elementi e che le radiazioni invece fossero onde... ma la meccanica quantistica mostrò come la materia avesse una doppia natura, ovvero quella simultanea di "onda" e di "particella".

Da questo punto in poi la fisica smise di essere deterministica ed iniziò ad essere descrivibile solo tramite una "nuvola di probabilità", nella quale era possibile trovare un atomo in una certa regione dello spazio, secondo algoritmi probabilistici. Nacquero gli orbitali atomici, ovvero equazioni matematiche che potessero descrivere - in modo stocastico (che non è una parolaccia!) - il comportamento degli elettroni intorno al nucleo e quindi i legami che si conoscevano fra i vari atomi...

Ci è costato caro, sotto un certo punto di vista, voler indagare più a fondo sulla natura della materia... poiché - da allora - sappiamo di non poter cogliere del tutto in modo univoco un fenomeno, ma di poterne descrivere solo alcuni tratti... con un  determinato margine di errore, sotto il quale sembrerebbe impossibile scendere.

Beh, la stessa cosa accade pure in Aikido!

Durante un jiyu waza, o un randori, risulta del tutto impossibile determinare in modo univoco cosa accadrà, ma sembra più plausibile rimanere aperti affinché qualcosa possa accadere, pur non sapendo quando e sotto quale forma specifica.

La mente si "svuota", rilassa i pregiudizi e le aspettative e si prepara ad esplorare un ignoto legato a sé ed al comportamento imprevedibile dei nostri compagni di pratica: inutile preparare i randori decidendo a tavolino "chi-deve-fare-che-cosa"... queste cose risultano solo ridicole agli occhi di una persona consapevole di ciò che sta osservando.

Il jiyu waza è come predisposti ad una nuvola di probabilità che io ed il mio compagno - ad un certo punto, che è tutto meno che CERTO! - si divenga capaci di esprimere l'Aiki, in modo naturale, spontaneo... così naturale e spontaneo da stupire noi stessi che stiamo vivendo quei momenti.


Dall'esterno si coglie molto bene quando stiamo cercando di "tenere sotto controllo" ciò che facciamo e che ci accade, o se consentiamo che il flusso del ki ci avvolga ed includa!

Un buon jiyu waza/randori è come la meccanica quantistica: non può essere predetto al di sotto di una certo (ampio) margine di insicurezza; questa cosa appare di certo contro-intuitiva, poiché mi aspetto che se lancio in aria una pallina, essa dovrebbe prima o poi ricadere a terra non troppo lontano da dove è stata lanciata... e ci parrebbe strano che ricomparisse dall'altra parte del pianeta!

Ma qui vi è proprio il punto crucciale: sembra che la scala "macro", ovvero quella nella quale viviamo noi ed esiste anche la pallina funzioni in modo molto differenti dalla scala "micro", che però è anche quella che costituisce sia noi, che la pallina stessa... Un bel paradosso per la nostra mente!

Per traslato... abbiamo un Aikido che passa quasi la sua l'intera esistenza a determinare TUTTO dei suoi allenamenti (il Sensei mostra una tecnica a partire da un determinato attacco... e gli allievi lo copiano più fedelmente possibile), e poi - di tanto in tanto - ci si sottopone ad esercizi (come il jiyu waza e/o il randori) nel quali è impossibile cavarsela con gli stessi criteri e metodologie che abbiamo utilizzato per la maggiore durante le lezioni... è necessario sviluppare skills differenti, ad esempio quella di non essere troppo legati all'efficacia di cosa faremo (che risulta un altro bel paradosso marziale!).

Eppure converremo che le Arti Marziali sono fatte per essere in gradi di armonizzarsi con un pericolo ignoto ed improvviso: sarebbe ridicolo pensare che un ipotetico avversario concordi con noi sia il momento e sia le modalità del suo attacco!

Quindi - ad un certo punto, che è tutto meno che CERTO! - è necessario passare da "Aikidoka Classici" ad "Aikidoka Quantistici": ce l'ha fatta il Fondatore, alcuni Sensei che ho conosciuto, ci sono riuscito io ed anche parecchi dei miei allievi... quindi credo che sia qualcosa più o meno alla portata di tutti.

È necessario però fare un cambiamento di paradigma, un "salto quantico" verrebbe di dire... e smettere di recitare a memoria una poesia credendo che un giorno ciò da solo farà di noi dei poeti!

In ambito fisico poi, la "Teoria del Tutto (anche nota come TOE, ovvero "Theory of Everything"), è un'ipotetica teoria fisica che mira a spiegare tutte le interazioni fondamentali della natura e tutti i fenomeni conosciuti nell'universo, unificando le leggi fisiche in un unico quadro teorico. Si tratta di un concetto che affascina i fisici da decenni, ma che sembra rimane ancora un obiettivo da raggiungere.

Ci sono andati però molto vicino David Bohm e Juan Martín Maldacena, che hanno posto le basi della fisica olografica ed Erik Verlinde, che ha formalizzato un modello concettuale in grado di descrivere la gravità come una forza entropica. Roba di qualche anno fa... non del secolo scorso.

Anche in Aikido siamo ancora abbastanza occupati a comprendere come ridurre il gap fra un tipo di allenamento completamente prestabilito e formalizzabile ed una propensione più mirata allo sviluppo di una spontaneità ed espressività, che faticano a trovare un loro posto "accademico" all'interno del Budo giapponese, nonostante molti Maestri ne abbiano fatto e ne facciano ampio utilizzo.

Che sia la nostra la generazione in grado di trovare la POE, ovvero la "Practice of Everything"?

Me lo auguro sentitamente!


Marco Rubatto





lunedì 6 ottobre 2025

Aikido nelle arti espressive di movimento - di Germano Tacconelli

Quest'oggi recensiamo un testo piuttosto inusuale nel suo genere, quindi secondo me interessante, ovvero "Aikido nelle arti espressive di movimento" del Mº Germano Tacconelli.

Si tratta di un libro piuttosto maneggiabile e veloce, di circa 97 pagine, delle Edizioni "Universale" (2021): me lo donò l'Autore stesso, in occasione di un Seminar di Aikido a Taranto, al quale anch'egli partecipò.

La sua particolarità sta nel voler descrivere un viaggio attraverso i principi della nostra disciplina che sono condivisi anche da molte altre discipline espressive e legate al movimento corporeo... e non solo.

Ad esempio, un coreografo di ballo, quanto deve tenere in conto il principio di awase (armonizzazione) e mi ma-ai (spazio tempo)?

Quanto è importante per un/a ballerino/a la padronanza della forma, la connessione con il proprio centro ed asse verticale, il radicamento con il suolo?

Quando un attore trova il timing migliore per fare una battuta o quando la sua improvvisazione sarà geniale, pur discostandosi dal copione studiato?

Sono tutti elementi che nelle Arti Marziali, specie in Aikido, studiamo parecchio... e molte volte non ci rendiamo nemmeno conto di quanto si tratti di principi universali, quindi trasversali alle varie discipline che si occupano di espressione psico-fisica.

Punti critici del testo...

Ho notato alcuni refusi nella parte che descrive brevemente la storia dell'Aikido, ma nulla di così importante, dato che il testo mira in realtà a ben altro fine che essere l'ennesimo report storiografico sul Fondatore.

Punti di forma del testo...

In questo caso, sottolineo la lungimiranza di Germano Tacconelli Sensei, che APRE la prospettiva della disciplina a tutte le arti psiscofisiche, facendo un'operazione di sintesi (valutando ciò che c'è in comune), anziché di analisi (cosa caratterizza l'Aikido), come invece fanno la maggioranza dei libri e dei Sensei che li scrivono.

Facciamo un bel dire che la nostra disciplina andrebbe valorizzata di più, conosciuta di più, frequentata di più... ma poi - in concreto - non si fa molto per portarla alle persone: ci si aspetta di più che esse ne comprendano il valore e facciano lo sforzo di venirsela a conoscere ed esplorare.

In questo un principio dell'Aikido stesso NON viene rispettato, ovvero quello di trattare il prossimo come si vorrebbe essere trattati.

Uno studio dei principi trasversali traccia ponti e connessioni (sottili o evidenti) fra ambiti diversi: ecco, la CONNESSIONE è un principio dell'Aikido, quindi opere come quella della quale parliamo quest'oggi, nel suo piccolo, è esattamente consonante con tali principio.

Io mi meraviglio sempre di quanto Maestri altisonanti riescano solo a parlare (e scrivere) dell'unicità della loro disciplina (asserendo cose vere, per la carità!), ma più raramente si preoccupino che questa sia in grado di "gettare ponti".

Per questo, sento di ringraziare Germano Sensei per il suo contributo originale, frutto di esperienza diretta: qualcosa di autentico, insomma... che di questi tempi non mi pare essere poco!

Chi avesse piacere di acquistare questo testo può cliccare QUI.

Buona lettura...


Marco Rubatto




lunedì 29 settembre 2025

Aikido untold: le verità scomode della storia

La maggioranza dei giapponesi non conosce nemmeno la parola "Aikido"... figuriamoci negli altri Paesi del mondo.

Più di qualcuno però pratica questa disciplina, per fortuna... anche se non è per nulla detto che si interessi anche della sua filosofia e della sua storia.

Quei pochi che lo praticano e si sono incuriositi, almeno una volta, dell'origine della loro arte... avranno letto qualche pagina di Wikipedia o qualche libro sull'Aikido: bene o male 2 cose 2 sul Fondatore stanno scritte ovunque ora.

Molti meno invece sono le persone che hanno la determinazione (ed anche le palle!) per andare a cercare nelle pieghe della storia anche le cose più scomode, ovvero quelle che si fanno più fatica a giustificare e che risultano lontano dal politically correct.

Ad esempio, che Morihei Ueshiba, nel suo periodo passato in Hokkaido (1911-1918) ebbe con molta probabilità una storiella extra coniugale, della quale la moglie venne a conoscenza: questo ormai è qualcosa di abbastanza noto... ma non così "politically correct" da comparire nelle biografie del Fondatore.

O' Sensei al tempo aveva una trentina d'anni... quindi credo nulla di così anomalo sotto il sole nell'avere una certa dose di testosterone a mandorla; in fondo si trattava di un giovane pioniere, lontano da casa: questo però potrebbe far storcere il naso a tutti coloro che lo vorrebbero vedere (e vendere) SOLO come un'icona di saggezza, lealtà e lungimiranza... che sicuramente poi negli anni si conquistò sul serio e meritatamente.

Esiste quindi un "Aikido untold" che tende a stare lontano dai riflettori, per il quieto vivere dei biografi e degli storiografi ufficiali, ovvero per le fonti sedicenti accreditate a raccontare questa o quella vicenda in modo "storicista", cioè ad appannaggio della visione che si vuole veicolare, narrando i fatti in un modo anziché in un altro.

Io non ho per nulla il pallino e la presunzione di venirvi a dire che la verità stia su queste pagine, tuttavia si sta facendo sempre più strada in me la consapevolezza di alcuni fatti, del tutto comprovabili a volerli guardare con un occhio critico, che riscriverebbero la mappa del territorio di parecchi Aikidoka, intenzionati ad andare oltre Wikipedia, John Stevens (buonanima)... e che le Torri Gemelle le hanno buttati giù quelli di Al Qaeda...

Uno degli elementi che mi pare essere veramente crucciale da esporre è come la maggioranza degli Aikidoka, benché venerino Morihei Ueshiba come un kami tutelare, siano in realtà figli di un altro Fondatore dell'Aikido, che ebbe molto più seguito e successo del primo, ovvero Kisshomaru Ueshiba, il nidai Doshu.

Il figlio di O' Sensei, infatti, ereditò (obtorto collo?!) il compito di lavorare per la crescita dell'Honbu Dojo e la divulgazione dell'Aikido sia in Giappone, sia negli altri continenti... mentre suo padre se ne stava ad Iwama (dal 1942 in poi), focalizzato nell'allenamento quotidiano, spesso solitario, nella preghiera e nel lavoro dei campi.

O' Sensei fu un enorme pioniere, un genio creativo ed innovatore, ma non ebbe mai particolari meriti divulgativi, potremmo dire noi oggi... visto che l'Aikido sarebbe andato poco lontano se fosse dipeso da lui e se si fossero seguiti i suoi metodi di allenamento.

Intendiamoci: non considero ciò né un bene, né un male... ma un semplice dato di fatto, che i più semplicemente ignorano. L'Aikido praticato al tempo, ed ancora oggi, all'Honbu è qualcosa di molto differente a ciò che faceva Morihei Ueshiba.

La maturità della disciplina
del Fondatore venne appunto affinata quando egli non era più molto sotto i riflettori e quando su di lui non incombeva più il compito di intrattenere relazioni diplomatiche strette con le istituzioni del Budo giapponese di allora.

Spesso ho rimandato quanto l'Iwama Ryu o il Dentō Iwama Ryu reclamasse (ed ancora reclami) il titolo di "vero" Aikido, di "Aikido tradizionale", "originario" e così via. Il modo nel quale lo hanno fatto non ha incontrato sempre la mia approvazione, in quanto hanno spesso avuto in sé parecchia ostentazione di superiorità rispetto alle forme più moderne della disciplina...

... Tuttavia,  "dove c'è fumo, ci deve essere anche un po' di arrosto", in qualche modo, perciò mi sono messo alla ricerca di questo "Aiki-arrosto" e ne ho trovato parecchio!

O' Sensei modificò MOLTO il suo Aikido nel suo periodo "di ritiro" ad Iwama, nonostante per molti anni ancora girò il Giappone in lungo ed in largo e fece numerose enbukai (dimostrazioni)... tuttavia all'Honbu Dojo arrivò molto poco di questo "update", per varie ragioni.

Morihei Ueshiba
si recò a Tokyo regolarmente per anni, ma vi passò sempre un tempo modesto... quindi chi studiava al tempo li aveva come riferimento il secondo Doshu, ed ogni tanto si vedeva arrivare questo vecchietto che faceva delle cose più o meno strane o diverse da ciò che veniva proposto ogni giorno sul tatami dell'Aikikai. Diverse pure da ciò che faceva suo figlio.

Premettiamo che non ci fosse qualcuno che stesse sbagliando qualcosa: Morihei Ueshiba era intento ad APPROFONDIRE la sua disciplina, mentre Kisshomaru Ueshiba a lavorare perché essa potesse DIVULGARSI.

Un grande approfondimento di solito si traduce in un ristretto gruppo di persone, intensamente motivate, disposte a fare ciò che serve per fare il prossimo passo con la propria ricerca; la divulgazione invece deve talvolta anche rinunciare a parte della profondità per arrivare più lontano, a più persone possibile e veicolare i valori che crediamo siano importanti ed utili alla società.

Questo però ha richiesto molti cambiamenti nella pratica, anche di natura tecnica.
Leggendo diversi libri di Ellis Amdur e Francisco Kitaura (alcuni ora disponibili in italiano, grazie a The Ran Network, altri ancora solo in inglese), autori che tengono a dire più ciò che pensano, rispetto a rimanere fedeli a cosa è normalmente consentito esprimere, si delineano sempre più chiaramente i "giochi di palazzo" che ieri (come forse anche ora) ci sono dietro alle grandi organizzazioni internazionali, Aikikai so Honbu in primis.

Certo, all'Aikidoka tipo, ancora tutto intento a imparare sankyo ura, magari interessa poco conoscere le diatribe storiche che hanno separato l'Aikikai di Tokyo dall'Ibaraki Dojo di Iwama: però è sempre più chiaro che queste dinamiche -spesso malsane - ci furono. Ed ebbero delle forti ripercussioni storiche sull'Aikido e la sua pratica!

Saito Sensei, uno dei co-fondatori dell'Aikikai, in punto di morte chiese esplicitamente ai suoi Deshi più intimi di non fare la guerra all'Honbu Dojo, ma di dare supporto alla famiglia Ueshiba come egli stesso fece per tutta la vita.

Ma perché ci fu bisogno di questa sua richiesta?

Il motivo è da ricercare in ciò che negli anni sempre più separò il tipo di visione e di pratica dell'Aikido che si faceva sotto O' Sensei ad Iwama, e sotto Kisshomaru Sensei a Tokyo.
Due movimenti che si sono differenziati sempre più, fino a non riconoscersi più l'uno nell'altro.

Ad Iwama rimase un forte spirito legato al Budo tradizionale, alla marzialità, al fatto che uke non è li per compiacere il suo compagno, ma per attaccare, nel modo più intenso e sincero possibile.
Si è sempre praticato, sia in modo statico, che dinamico in stretta integrazione con il lavoro delle armi, che doveva continuamente specchiare ed essere congruente con le tecniche a mani nude.

A Tokyo l'Aikido venne preferito nella sua versione più dinamica e forse anche coreografica; il lavoro con le armi non venne praticamente mai introdotto (tranne rare occasioni, nelle quali Saito Sensei andò ad insegnare la, ma senza lasciare pratiche che poi divennero abituali in quel Dojo), un sacco di varianti tecniche vennero accantonate, perché considerate pericolose o perché divenute semplicemente impopolari fra i praticanti di Tokyo: una fra tutti, gli yubi waza, ovvero le tecniche applicate sulle falangi delle mani.

Una distrazione ed era facile lussare o rompere un dito di una persona che con tutta probabilità faceva l'impiegato e che aveva bisogno delle sue mani per la macchina da scrivere ieri, e per il computer oggi. Ma O' Sensei faceva yubi waza in continuazione, specie negli anni nei quali era più anziano.

Venne abbandonata l'abitudine al kiai, che il Fondatore considerava così importante in Aikido, ma che difficilmente poteva essere accettabile in un quartiere così densamente abitato come quello in cui sorge l'Honbu Dojo a Shinjuku.

E togli di qui, togli di la... ad un certo punto chi praticava ad Iwama iniziò a considerare poco seri i praticanti di Tokyo, mentre all'Honbu Dojo si iniziò a considerare "macellai" e "bruti" coloro che praticavano nel Dojo di Ibaraki.

Il Dojo di Tokyo quindi si affermò per la sua capacità di accogliere persone provenienti da tutto il mondo, desiderose di praticare sotto egida diretta della famiglia Ueshiba, mentre l'Ibaraki Shibu Dojo proseguì inalterato il suo mood fino alla morte di Morihiro Saito Sensei... dopodiché la famiglia Ueshiba stessa venne a "reclamare" la sua proprietà e mise alcuni veti importanti a Hitoira Saito Sensei, figlio di Morihiro (all'epoca chiamato "Hitoiro") se avesse inteso proseguire con la sua attività di Insegnante nel Dojo del Fondatore.

Questi non ci stette, poiché ebbe l'impressione che accettare quelle condizioni (smettere di emanare certificati specifici per l'insegnamento del buki waza, smettere di riferirsi a quel tipo di pratica con il termine "Iwama Ryu", etc...) sarebbe significato tradire il lavoro di una vita del padre... che invece fecce di tutto per mantenere vivo lo spirito austero nel quale il Fondatore stesso li aveva abituati a praticare.

Dovette quindi lasciare la proprietà Ueshiba, ed anche l'Aikikai stessa e fondò la sua Scuola personale, ovvero l'Iwama Shin Shin Aiki Shuren Kai.
Questi però sono appunto "affari di palazzo" nei quali è difficile imbattersi, specie se si è giunti all'Aikido SOLO tramite il tatami pattinato dell'Honbu Dojo, ovvero come ci sono giunti la maggioranza dei praticanti attuali nel mondo.

Il nidai Doshu è quindi il vero padre dell'Aikido attuale, mentre pochi stanno continuando l'attività austera di ricerca che suo padre portava avanti in Iwama, secondo la prospettiva [武の一如] "Bu-No-Ichinyo", cioè "l'unità fra Budo ed agricoltura".

L'attuale sandai Doshu, Moriteru Ueshiba, venne acclamato da tutto il popolo di Iwama quando, il 20 gennaio 1999 su Aikido Shimbun (la newsletter ufficiale dell'Aikikai) pubblico un articolo intitolato “In onore dello spirito dell’ultimo Doshu”. In esso si fa un chiaro riferimento alle modifiche apportate da Kisshomaru Ueshiba alla disciplina coniata dal padre (ne riportiamo qui di seguito un estratto)...

“Le tecniche e il modo di fare Aikido che il Fondatore, O' Sensei, ci ha lasciato, non erano sempre di facile comprensione per tutti. Doshu, mio ​​padre, li ha cambiati in modo che essi fossero facilmente comprensibili, e ha dato tutta la sua vita per diffonderli. Per questo motivo ha lasciato molti libri da lui scritti. Sono cresciuto guardando Doshu ritornare dal keiko per studiare e scrivere per lunghe ore e anche con gli occhi di un figlio ho potuto vedere l’importanza di questo lavoro“.

Questo scritto, mentre da un lato fa cogliere l'ammirazione e la dedizione per i lasciti paterni, ora nelle sue mani... dall'altro mostra chiaramente come all'Honbu Dojo NON si praticasse già più allora nelle stesse modalità indicate da Morihei Ueshiba, suo nonno ed Aiki Kaiso.

Ora, che sono passati oltre 25 anni da quella dichiarazione (che io mi vissi in diretta, perché all'epoca già praticavo Aikido, seppure fossi poco più che un principiante), non so quante persone la ricordano e quanti si recano ancora oggi all'Honbu Dojo nell'intento di respirare lo spirito più tradizionale possibile della nostra disciplina... che però, semplicemente, NON si trova li!

Non affermo che ciò che si pratica all'Honbu sia sbagliato o negativo: affermo che sia solamente parziale, e lo sia in modo piuttosto marcato. L'Aikikai ha sfornato veri e propri "geni" dell'Aikido dagli anni '60 in poi, molti dei quali ho avuto il privilegio di conoscere di persona. Ho imparato molto da loro.

Fermamente però oggi sono convinto che O' Sensei fosse puntato in una direzione differente, le cui tracce spesso possono essere rinvenute in alcune pratiche tradizionali...
che però talvolta ora divengono vuote, se ci si limita a ripetere meccanicamente un gesto, spesso non capito... solo perché "una volta facevano così".

Diamo ad esempio insieme un occhio a questo (scomodo) documento storico, che riassume quanto i primi allievi del Fondatore (che poi sono diventati Maestri internazionali) siano effettivamente stati cresciuti da quest'ultimo, oppure dal Nidai Doshu... e saltuariamente abbiano interagito con Morihei Ueshiba, che non è proprio la stessa cosa!




Morihiro Saito Sensei, dan Aikikai: incontra il Fondatore nel 1946 ad Iwama, e rimane suo allievo diretto ad Iwama fino al 1969 (23 anni consecutivi, di allenamento QUOTIDIANO con l'Aiki Kaiso).

Hiroshi Tada Sensei, dan Aikikai: incontra il Fondatore nel 1952, quindi continuerà a frequentarlo risiedendo principalmente a Tokyo fino al 1964, sotto la supervisione diretta di Kisshomaru Ueshiba, poi verrà in Italia (12 anni, non trascorsi con lui se non per periodi sporadici).

Seigo Yamaguchi,
 9º dan Aikikai (soprannominato "il Genio dell'Aikidō"): incontra il Fondatore nel 1952 e smette di frequentarlo nel 1955, iniziando la sua pratica con Kisshomaru Ueshiba e risiedendo principalmente a Tokyo (3 anni, non trascorsi con lui se non per periodi sporadici).

Hirokazu Kobayashi, 8º dan Aikikai: frequenta il Fondatore per 16 anni, non trascorsi con lui se non per periodi sporadici (1954-1969), risiedendo principalmente a Tokyo.

Ora facciamoci una domanda semplice almeno quanto altrettanto scomoda: dalle nostre parti, nelle quali si incensa forse anche giustamente la bravura di Tada Sensei e di Yamaguchi Sensei (il quale fu il Maestro principale di Christian Tissier Sensei), sappiamo che ci stiamo riferendo a persone che hanno vissuto il Fondatore dell'Aikido molto più di sponda rispetto ad esempio a Saito Sensei e Kobayashi Sensei?

Non che stare appresso alle gonnelle di Morihei Ueshiba debba per forza essere un certificato di garanzia, ma questo ci fa capire in parte il motivo della deriva personalistica che ha preso la nostra disciplina, quando insegnata da persone che avevano solo molto parzialmente avuto modo di assorbire tecnica, principi e prospettive direttamente dalla loro fonte più accreditata.

Saito
(23 anni), Tada (12 anni) e Yamaguchi (3 anni): tutti 9º dan Aikikai... possiamo attribuire loro una capacità enorme in Aikido ed il merito di avere contribuito significativamente alla sua diffusione, ma partendo da un'esperienza simile o comparabile? A me non sembra proprio...

Ecco uno dei motivi - ad esempio - del perché il lavoro con le armi di molti allievi diretti del Fondatore o è inesistente o non si può proprio guardare!

Ciascuno ha fatto del suo meglio nel fare ciò che ha fatto, quindi in quest'ottica nessuno ha sbagliato, benché siano nate spesso tensioni ed incomprensioni fra le varie correnti Aikidoistiche del passato (così come accade anche ai nostri giorni).

Però vi consiglio di non fermarvi a ciò che si legge su Wikipedia, o sulle biografie di John Stevens, perché è come guardare i telegiornali del main stream e poi credere di avere avuto un'informazione libera, obiettiva e professionale.

L'Italia è ora intorno al 47º posto al mondo per libertà di stampa ed informazione, preceduta dalla Lituania, dal Sud Africa e dal Niger: spiace terribilmente, ma è così (e nel 2016 siamo stati al 77º posto, quindi siamo pure migliorati un tot!). Capite bene che quindi informarsi ai Tg di Mentana è una scelta di propaganda, della quale non possiamo poi lamentarci se scopriamo che le cose stanno messe in modo differente.

Nell'Aikido vale la stessa regola: ci sono tante voci uniformate, e c'è qualche voce dissenziente, che tenta di disegnare e raccontare "verità alternative", magari poco popolari o gradevoli.

Beh, ricordiamoci che per farci un'idea più autonoma ed equilibrata possibile le fonti a cui attingiamo devono essere molteplici e più diversificate possibili fra loro.

Marco Rubatto

PS:
ho conosciuto di persona e frequentato per qualche Stage Yoji Fujimoto Sensei, personalità molto carismatica, che di certo ha dato tanto a molti Aikidoka italiani. Beh, provate un po' a chiedere ad un'Iwamista medio cosa ne pensa del modo di praticare armi di questo Sensei... poi capirete da soli perché vi consiglio di informarvi (e FORMARVI) da più fonti possibili!













lunedì 22 settembre 2025

Che livello dell'Aikido vuoi vivere?

Ci sono quelle persone - la maggioranza - che non distinguono bene un'Arte Marziale da uno Sport da Combattimento... né una disciplina dall'altra all'interno di questi due macro gruppi.

"Fai Karate' o Judo'?" (l'accento ignorante sull'ultima lettera è d'obbligo).

Per loro è un po' tutto uguale: Kung Fu, Wu Shu, Tai Chi, Aikido, Hapkido, Viet Vo Dao, Ju Jitsu... Kickboxing, MMA, BJJ, Boxe... Se volessimo descrivere il livello al quale è possibile vivere la propria disciplina, diciamo che queste è solo "ground zero", o forse il parcheggio sotterraneo multi-piano che ci sta sotto.

Poi ci sono quelle persone che, per una ragione o per l'altra, sono venute a contatto con l'Aikido e stanno frequentandone un "corso": per l'accezione occidentale di questa parola, quando uno si reca con una certa costanza a lezioni di una disciplina, significa che è interessato ad apprendere qualcosa che essa potrebbe essere in grado di insegnargli.

Non è importante cosa: qualsiasi cosa che possa essere appresa, facilmente troverà un corso che la insegna: pittura, fotografia, arti marziali, cucina... addestramento cani.

Già... ma a quale livello sono interessato all'Aikido?

Forse, da neofita, posso essere interessato a salire al 1º piano della disciplina... sapere cosa significa il suo nome, imparare qualche movimento utile al corpo (non importa in quale contesto): insomma, può diventare un hobby interessante, da affiancare alle altre 1468 cose che facciamo durante la settimana.

Anzi, forse ciò che ho descritto è già qualcosa di più che il 1º piano, poiché un "hobby", per definizione è qualsiasi occupazione perseguita con passione nel tempo libero dal lavoro consueto, per ricreazione o passatempo.

Se uno non vuole semplicemente "occuparsi il tempo" perché non saprebbe cosa altro fare, forse non è così interessato ad un'attività che richiede una certo reiterato impegno... si reca semplicemente a Workshop monotematici, auto-conclusivi ed occasionali e tutto finisce li, ormai ce ne sono di tutti i tipi, per tutte le tasche e su ogni argomento, dalle Campane Tibetane, all'Ikebana (termine giapponese che si riferisce all'arte della disposizione dei fiori recisi), all'apicoltura...

Allora il 1º piano è l'hobby, il 2º è la frequenza mono-bi settimanale del corsettino di Aikido (più vicino a casa possibile, ancora a questo livello).

E poi, cosa ci può ancora essere?

Il 3º piano, ovvero quella condizione nella quale non abbiamo più alcuna intenzione di rinunciare al nostro "hobby preferito"... ovvero garantire sempre la frequenza - meglio bi-settimanale che mono - perché questo tempo speso ci sta restituendo qualcosa di positivo a livello personale (non importa ancora in che misura o in quale ambito).

Il 4º piano potrebbe essere quello del prefiggersi il raggiungimento di un livello specifico all'interno della disciplina: sono quelli del "do l'esame perché lo faccio per me"... come stimolo alla propria forza di volontà o rinforzo della propria autostima.

Al 5º piano ci mettiamo quelli che raggiungono la famosa "cintura nera", ovvero quel fraintendibile pezzo di stoffa che quelli di ground zero identificano come "livello di maestria". Arrivare alla cintura nera è già segno che almeno per qualche anno abbiamo praticato... cosa che non è già proprio da tutti.

Solo...

Solo che non appena arrivi al 5º piano ti rendi conto che non sei per nulla in cima all'edificio della disciplina che hai scelto... poiché di tutto hai l'impressione di essere, tranne che un esperto, se hai ancora un po' di buon senso ed una percezione non patologica dell'io!

La strada è ancora lunga e in salita, quindi quelli che non mollano ambiscono a vedere com'è arredato il 6º piano... Qui trovano posto coloro i quali hanno deciso che l'Aikido è e sarà una componente costante della loro annualità, indipendentemente dai risultati e dai gradi che potranno raggiungere: a questo livello la disciplina ha già dato prova di avere un impatto positivo sul proprio corpo, sulla propria psiche e forse anche nel quotidiano, quindi sembra ormai sciocco pensare ad un menage che escluda questo prezioso momento dedicato a noi stessi.

Il 6º piano è già un bel livello... ma si può andare oltre, molto oltre!

È possibile intuire come alcuni aspetti dell'Aikido possano essere appresi SOLO se si insegna, ovvero se ci si occupa della crescita di altri Aikidoka: questa dinamica è importante, poiché consente di vedere la disciplina da un punto di vista completamente differente, ovvero scavalcando lo specchio che separa il docente dal discente.

Al 7º piano ci troviamo allora quelli che sono disposti ad assumersi un'impegno continuativo anche verso altri praticanti, oltre che verso se stessi... iniziando così anche ad insegnare, magari da prima in affiancamento o in sostituzione del proprio Sensei, quindi in modo più autonomo... curandosi della creazione, la crescita e viluppo di un proprio gruppo di praticanti.

Ci troviamo già ad un livello assolutamente non comune, ma "l'appetito vien mangiando", come si dice... quindi è bene scegliere in che modo e con quale frequenza ci piacerebbe insegnare.

Le classiche 2 lezioni settimanali da un ora e mezza, delle quali occuparsi dopo il proprio lavoro di tipo tradizionale?

Molti - la maggioranza di sicuro - fanno questa scelta; ma cosa accade se ci accorgessimo di volere ancora di più dalla disciplina?

Passiamo all'8º piano, ove incontriamo tutti coloro che per insegnare Aikido stanno scegliendo un lavoro di tipo tradizionale che consenta loro di essere liberi quando lo necessitano... ad esempio la sera, o facendo un part-time che permetta loro di insegnare anche ai bambini e ragazzi al pomeriggio. E ci sono molti modi per farlo, ad esempio rinunciando ad un posto fisso e diventando liberi professionisti, più in grado quindi di organizzare il propio tempo libero.

Non è raro che - a questo livello - l'Aikidoka inizi anche ad essere piuttosto selettivo con chi frequenta a livello personale, poiché ha l'esigenza di essere compreso da familiari, dagli amici, dal partner, etc.

Piano 9º: chi sceglie l'Aikido come professione principale sa bene che non sarà questa la strada per arricchirsi o riposarsi, ma sa che risulta l'unico modo di poter pensare alla disciplina letteralmente come prima occupazione e dalla mattina alla sera... senza avere l'obbligo di lasciare ad essa solo le briciole di energia rimaste DOPO che si è conclusa la propria giornata.

Ho fatto questo passo nel 2012, ci ho messo 6 anni a decidere se e come farlo... quindi comprendo piuttosto bene tutti quelli che hanno parecchia titubanza nel fare altrettanto. Ci tengo però a far sapere loro 2 aspetti fondamentali: il piano 9º ESISTE! Non si diventa né ricchi, né riposati ad andarci ad abitare, ma si piò sopravvivere serenamente...

Credo che esista ancora almeno un piano, il 10º, al quale provo ad affacciarmi sempre più spesso, ma senza riuscire ancora a viverlo con la continuità che desidererei: è il livello di chi è disposto a rinunciare a TUTTO per approfondire la conoscenza della disciplina che pratica e che insegna, poiché sa che essa è divenuta lo strumento più potente a propria disposizione per studiarsi e conoscersi.

Questo livello fa paura, perché prevede di essere disposti a perdere qualsiasi forma di riferimento e di certezza per seguire il proprio cammino in seno all'Aikido (o ad un'altra disciplina simile): si può perdere la casa (fatto!), il lavoro (fatto!), il partner (fatto!), le sicurezze di tipo economico (fatto!), alcuni specifici tipi di "amicizia", non in grado di comprendere lo spirito che anima chi fa determinate scelte (fatto!)... si rende necessario viaggiare molto (lo faccio), cambiare lingue ed abitudini (lo faccio)... ed adattarsi molto (cerco al meglio di farlo) a qualsiasi cosa accada, non perdendo di mira l'obiettivo, che è quello di dedicare tutti se stessi all'Aikido.

Non so se vivrò mai stabilmente al 10º piano, ma credo O' Sensei ci sia riuscito, quindi deve essere possibile fare altrettanto, anche se adesso i tempi sono cambiati (e la zona geografica è molto differente dalla sua) e "sposare" una disciplina non sembra essere la scelta più comune da compiere nella nostra società.

La domanda che però mi sovviene a questo punto è: "Sarà per questo che la nostra società spesso ci pare malata?"

Con questo non voglio affermare che tutti gli Aikidoka dovrebbero ambire all'attico della disciplina, ma nemmeno ai piani alti o che sia sbagliato fermarsi ai primi livelli: ciascuno faccia quello che si sente e che lo fa sentire appagato!

Ciò che intendo è che ci dovrebbe essere consapevolezza che i piani di lettura sono molteplici, che le forme e le profondità di ingaggio lo sono altrettanto e che dovrebbe esserci spazio per ogni tipo di possibile scelta personale, ma per esperienza sono quanto non sia sempre così... e quanta determinazione richieda il procedere sulla propria strada ben oltre a dove e quando la società nella quale viviamo ritiene sia "normale" fare.

A chi lasciamo il giudizio su cosa sia "normale" per noi?

Mi auguro non di certo alla società o comunque a soggetti differenti da noi stessi... e credo che la fatica che incontriamo nel realizzarci sia la misura più autentica di quanto ci teniamo a farlo sul serio!

Marco Rubatto

lunedì 8 settembre 2025

Giancarlo Giuriati, il Budoka gentile

Non vorrei mai scrivere Post come questo... ma per l'amicizia che mi lega a Giancarlo, lo faccio invece con tutto il cuore che ho.

Giovedì 28 agosto è venuto a mancare il Maestro Giancarlo Giuriati, all'età di 70 anni, membro della Commissione Nazionale Aikido FIJLKAM, dal 2017 al 2024.

Giancarlo Sensei era una persona che conoscevo e frequentavo - come minimo - da una ventina di anni... e negli ultimi 7 era divenuto anche un prezioso collaboratore del progetto di rilancio del Settore Aikido federale, che mi ha visto in prima linea, in qualità di Presidente della CN proprio dal 2017 in poi.

Ci eravamo incontrati sicuramente a molti Seminar della Scuola che ha dato i ns. comuni natali, ovvero l'Iwama Ryu, dopodiché Giancarlo che proveniva dal Judo federale è stato cresciuto a stretto contatto con il Mº Fausto De Compadri, del quale divenne un ossequioso e fedele allievo. A differenza mia, che invece collaboravo già attivamente con De Compadri Sensei, ma non ne fui mai un allievo diretto.

Con il tempo, crebbe marzialmente e scelse l'Aikido come Budo da studiare più a fondo: generò numerose cinture nere, che ora sono Insegnanti di Aikido a loro volta, e divenne anche Fiduciario Regionale del Veneto per l'Aikido.

Era proprio mentre ricopriva questa carica che la Presidenza federale di allora volle rinnovare tutte le Commissioni Nazionali di tutti i Settori e lui fu nominato - insieme a me - nella CN Aikido, anche per dare una continuità al lavoro che fece al suo interno il Mº De Compadri.

Poco dopo, ci raggiunse anche il Mº Giovanni Desiderio... e fu proprio con loro due che iniziò un lavoro veramente notevole di ristrutturazione di quel transatlantico che colava a picco, che era al tempo allora il Settore Aikido FIJLKAM: periodo non facile per il sottoscritto, ma anche per i miei 2 colleghi, che mi hanno sempre supportato in modo totale nel cercare di dare nuova vita ad un Settore che per noi meritava di più di come era stato trattato negli ultimi anni.

Giancarlo Sensei era una persona pacata e riflessiva, parecchio saggia e colta... stare davanti ad una folta platea ad insegnare non era forse la sua predilezione, infatti - paradossalmente - ci sono stati momenti nei quali è quasi sembrato in difficoltà a calzare il suo ruolo nella Commissione... e mi riferisco appunto nei momenti di docenza diretta.

In realtà, lui era piuttosto consapevole di una sua forma di timidezza, che lo portava ad un atteggiamento introverso che è stato più di una volta incompreso o frainteso: il suo valore e la sua conoscenza però erano molto vasti, e non temo di affermare che egli fosse un autentico ricercatore nell'ambito del Budo, e dell'Aikido nello specifico.

Spesso ci siamo trovati a discutere insieme su nuove prospettive della disciplina e sulle difficoltà della sua comprensione da parte delle persone affascinate per lo più da ciò che fa moda o scalpore: "l'Aikido è per persone che cercano, e che non hanno paura di trovarsi" mi ha detto, più di una volta!

Giuriati Sensei era un prolisso scrittore, e - fra i primi - ho avuto l'onore di leggere, le bozze di un paio dei suoi libri... che poi ha pubblicato in seguito.

Ricordo fra tutti: "Il pastore, il toro, il vuoto e la Grande Morte" (2014) una storia zen, recensita QUI proprio sulle pagine di questo Blog.

Ma anche "Il codice Ueshiba: dalla matrice marziale al Takemusu Aikido" (2013), nel quale emerge l'affascinate è anche il frequente parallelo con la moderna fisica quantistica, noi ne abbiamo parlato QUI. Di questo argomento, ne riparleremo proprio su Aikime fra qualche settimana...

Vorrei anche ricordare"Itsutsu no Kata" (2014), un testo che parla degli aspetti filosofici-esoterici di un kata avanzato di Judo, e che stimola a riflettere sui valori più alti di questa disciplina.

Giancarlo però era un artista a tutto tondo, appassionato di arte grafica e fotografia, e come diversi suoi famigliari, era anche un ottimo pittore, proveniente prima dal Liceo Artistico di Treviso (1970-1974)... quindi frequentò per alcuni anni il corso di pittura dell'Accademia Belle Arti di Venezia. Anche a livello lavorativo, si è occupato di design di interni per molti anni... ed in età matura, dopo molti anni dedicati al disegno computerizzato, riprese a dedicarsi al disegno manuale e alla pittura.

In occasione dell'ultimo Seminar Nazionale dello scorso anno donò sia a me, sia al Mº Desiderio un suo quadro, rappresentante un kakemono (uno scritto giapponese), utilizzando diverse tecniche di pittura innovative.

Ora è sopra il mio letto, ed ogni sera mi accorgo di guardarlo in modo molto più intenso del passato, con un misto di tristezza e riconoscenza...

Nel 2021 - alla ripresa dopo la pandemia - organizzai il primo Seminar Nazionale di Aikido a Leinì (TO): pochi giorni dopo a quell'evento, Giancarlo ci informò che gli era stato diagnosticato un mieloma, e che si apprestava a sottoporsi a tutta una serie di visite, per comprendere il da farsi.

Anche in quella occasione - così come in 100 altre - Giancarlo ci mostrò un grande senso di responsabilità verso il Settore Aikido, informandoci della sua volontà di dare le dimissioni dalla CN, avendo chiaro che non avrebbe più potuto essere presente come un tempo, né sul tatami, ne per le attività organizzative varie.

Sia io, che il Maestro Giovanni Desiderio gli chiedemmo di ripensarci e di rimanere invece nel suo ruolo... assicurandogli che avremmo "tirato noi avanti il carro" fino a quando non si fosse completamente rimesso... e che tutto il Settore lo avrebbe atteso insieme a noi.

Allo Stage Nazionale del 2022, sempre a Leinì (TO) Giancarlo non riuscì ad esserci, ed organizzammo con tutti gli oltre 140 partecipanti un videomessaggio... che gli desse forza e gli facesse sentire come tutti eravamo con lui.

Le cure inizialmente fecero molto effetto e lui reagì eccezionalmente bene, tanto da stupire i dottori inabituati ad avere un
Samurai come paziente!

Ci vedemmo un'ultima volta allo Stage Nazionale di Salerno del 2024, evento nel quale egli cominciava forse nuovamente a non stare bene: una recidiva iniziava a farsi sentire e dovette farsi sostituire in alcune lezioni, per via di un dolore forte ad una spalla.

Giancarlo era un Budoka mite, di quelli che possono vantare un'esperienza considerevole, ma non è li per farla pesare a chi gli sta intorno: qualcosa di parecchio raro nel ns. Settore!

Ci ha aiutato molto nella costruzione delle documentazioni e dei protocolli che la Commissione Nazionale Aikido si è trovata a dover scrivere, per coprire i buchi normativi che trovò al suo insediamento, e ciò venne reso possibile proprio dall'esperienza che Giancarlo Sensei aveva acquisito nel Settore Judo.

Io, invece - rispetto a questo - avevo le idee molto chiare sull'Aikido, ma ero sicuramente il più "ignorante" dei tre.

Giancarlo era una figura silenziosa, ma sulla quale contare, e che si vedeva come fosse impegnata in una ricerca interiore continua... qualcosa di tipico degli artisti, ma non di tutti gli artisti marziali.

Ci mancherai, caro Giancarlo: ci mancheranno le tue buone maniere, la tua umiltà - che da sola insegnava molto - e quella ricerca di pace che ambisce, di solito, chi ha provato sulla propria pelle la durezza dello scontro.

La tua volontà e capacità di mediare ci possa accompagnare, insieme al tuo sguardo benevolo, sicuramente ora in compagnia di quello del Maestro De Compadri.

Buon viaggio!


Marco Rubatto