In Aikido studiamo un botto di tecniche e tecnicismi.
Sembrerà strano, ma la tecnica è INVERSAMENTE proporzionale alla consapevolezza che si possiede, quindi... più studio la tecnica di qualcosa, più sto ammettendo di non conoscere questo qualcosa così bene.
Immaginate una ricetta di cucina: sono una scarpa ai fornelli, ma seguendo tutte le indicazioni di Suor Germana o di Giallo Zafferano riesco a cucinare anche piatti piuttosto complessi, tramite istruzioni chiare, tecniche precise e specifiche.
Immaginate le istruzioni di montaggio della Lego, o dell'Ikea: sono "manuali tecnici", che spiegano come comporre un elemento complesso, a partire dai suoi elementi costituenti. Le istruzioni ci sono perché da soli non è detto che saremmo in grado di giungere allo stesso risultato.
Ora per: se per 3 anni di fila cucinassimo la stessa ricetta, montassimo lo stesso armadio o costruissimo la stessa macchinina giocattolo... siamo certi che avremmo ancora bisogno di "manuali tecnici"?
Forse no, perché la "forma" che abbiamo ripetuto più e più volte... ci avrà INformato, ossia ci ha fatto apprendere le sue caratteristiche essenziali.
E non ci ha solo informato sulle caratteristiche della tecnica stessa, ma anche - e sopratutto, direi - sulle nostre CARATTERISTICHE ed i nostri LIMITI.
Mentre provo, infatti, a ripetere la tecnica di Aikido mostrata dal mio Insegnante, oppure mentre provo a cucinare ciò che vedo descritto nel ricettario o montare quello che viene descritto dalle istruzioni... mi imbatterò certamente nei limiti che posseggo nel muovermi, nel comprendere e nel mettere in pratica concretamente nel modo migliore ciò che credo di avere compreso.
Direttamente, quindi, la tecnica mi aiuta nella costruzione della forma... ma indirettamente parla di me e della condizione psico-fisico che posseggo, anche in questo senso quindi mi "informa".
Attraverso un pattern, inizio e poi continuo ad incamerare informazioni sia sullo schema stesso, che su di me... ed ogni volta mi approssimo meglio allo schema proposto perché si ampliano ed evolvono anche i ricettori che utilizzo per valutare l'aderenza o lo scostamento dal modello in studio.
Avete presente quando vi sembra che sul tatami "non vi venga più niente"?
Si che ce lo avete presente... è una delle condizioni più comuni di un praticante di Aikido!
Beh, verrebbe da chiedersi come mai che accade così di frequente e pressoché a tutti: è una sensazione - li per lì - spiacevole, è vero, ma che testimonia una evoluzione della quale spesso non siamo consapevoli.
Viviamo con frustrazione il fatto che, da un certo punto in poi, la nostra tecnica ci sembra fare schifo, essere piena di imperfezioni e sbavature... ma non ci rendiamo conto di essere semplicemente in grado di cogliere aspetti e sfumature che fino a poco prima ci rimanevano celate.
La tecnica faceva molto probabilmente già schifo prima, ma non eravamo capaci di rendercene conto... mentre ora lo siamo, quindi abbiamo subito una sorta di upgrade sensoriale, un aggiornamento ed evoluzione della nostra capacità e profondità nell'osservare le cose.
"Fare la forma" quindi ci rende più capaci di comprenderne gli elementi costituenti, quasi indipendentemente dalla forma nella quale ci stiamo allenando... e sopratutto AFFINA noi e le nostre capacità auto-percettive.
La PNL direbbe che è cambiata (in meglio) la "mappa del territorio"...
In questo senso, la TECNICA è quello STRUMENTO che affina i nostri STRUMENTI mentre la utilizziamo: questa è un'ulteriore argomentazione (se ce ne fosse ancora bisogno) a sostegno della tesi che essa NON è il fine del nostro allenamento.
In un universo in continua mutazione naturale, qualcosa di "fisso" come uno schema è improbabile e sicuramente - in qualche modo - contro natura: tuttavia questa è proprio la caratteristica delle istruzioni dell'Ikea, delle ricette di cucina e dei kata di jo...
Tutto il katageiko prevede schemi fissi, all'inizio addirittura rigidi, almeno in apparenza. Ci si attiene al "copione" marziale, tanto che a volte esso viene confuso con una ipotetica realtà di combattimento, facendoci delle figuracce clamorose con al flessibilità e la mutevolezza tipiche di chi combatte veramente!
Gli schemi NON servono però per essere replicati sulla strada: sono utili per permetterci di continuare a CAMBIARE al loro interno, come per altro è la nostra natura fare. Avendo un riferimento "fisso" infatti è più facile orientarsi, specie quando il territorio è ampio... e sarebbe molto facile perdersi.
Con le stelle una tempo i marinai attraversavano i mari, proprio perché esse costituivano un punto di riferimento CERTO: ammirare le stelle è poetico, dipingere le stelle è artistico... USARLE per spostarsi è conferire loro una UTILITÀ pratica, risolve i problemi di chi non può contare su un navigatore.
E più informazioni su noi stessi saremo stati in grado di prendere, MENO sarà necessaria la ripetizione di un determinato movimento o la realizzazione di pattern suggeriti dall'esterno.
La ripetizione risulta UTILE solo se CONSAPEVOLE, poiché quando diventa automatismo risulta priva di quella presenza che consente ogni volta di notare una sfumatura nuova ed arricchente sia di cosa stiamo facendo sia - e sopratutto - di noi stessi.
É drammaticamente vero che, alla fine, la tecnica non serve proprio a niente quando si acquisisce una certa consapevolezza: il paradosso è che per arrivare a comprenderlo è spesso necessaria proprio un tot di pratica tecnica...
Quindi portiamo pazienza e costruiamo lentamente le forme migliori (perché l'importante è sottoporsi a questo genere di allenamento, ma ricordiamoci che ci sono forme biomeccanicamente più funzionali di altre!) con lo scopo di non averne alcun bisogno quanto prima possibile... quando la nostra mappa coinciderà con il territorio dell'Aikido.
Mi rendo sempre più conto che i praticanti di Arti Marziali, parlando in modo generico, sentono raramente il bisogno o il piacere di approfondire le origini storiche, culturali e filosofiche delle discipline che frequentano.
In occidente, ci sono discipline orientali così sportivizzate da risultare praticate quasi del tutto da persone piuttosto ignoranti su queste tematiche (l'eccezione ovvio che ci sia sempre ovunque): l'Aikidō in ciò tende forse a distinguersi per maggiore attenzione e cura agli aspetti tradizionali della terra dalla quale proviene.
Però, giusto la scorsa settimana, mentre dirigevo un Seminar a Bari, mi è accaduto che una praticante giapponese presente mi rimarcasse quanto fosse raro trovare un Insegnante che si rivolgesse agli allievi utilizzando parole ed anche intere frasi in giapponese.
Io non sono giapponese, non conosco così bene questa lingua, ma sicuramente l'ho studiata per anni, così come ho studiato in lungo ed in largo gli aspetti storici, culturali, sociologici, filosofici e religiosi della terra di Yamato (il Giappone, appunto n.d.r.)... e questo mi pare solo normale, volendomi occupare della divulgazione di un certo tipo di pratica, che di certo NON si limita ad una serie di movimenti delle gambe e delle braccia, o ad un tot di tecniche di proiezione o leva articolare!
Mi sento, cioè, completamente nella norma... anche se mi piacerebbe continuare ad approfondire sempre di più ciò che mi sembra di non padroneggiare mai a dovere: non trovo invece che lo siano tutti quei praticanti sedicenti esperti, e sopratutto gli Insegnanti che invece non abbiano di pari passo speso qualche risorsa personale per approfondire meglio le radici di una disciplina che affonda in una storia e cultura TOTALMENTE differente, rispetto alla nostra.
Non si tratta di rinnegare le proprie origini o snaturare la propria identità parlando "giappaliano" e mangiando solo sushi e tofu (come invece ho visto fare proprio ad alcuni insegnanti di Aikidō più fanatici che altro!), ma di avvicinarsi il più possibile con umiltà e curiosità ad un mondo del quale la nostra disciplina è intrisa.
"Se vuoi comprendere bene uno scritto, una musica, un quadro... studia bene la vita e le opere del suo scrittore/compositore/pittore!"
Ciò non vale - quindi - solo nel campo delle Arti Marziali...
- la mozzarella di bufala è - ichiban /innanzi tutto - CAMPANA
- il pesto è - ichiban /innanzi tutto - LIGURE
- gli/le arancini/e sono - ichiban /innanzi tutto - SICILIANI
Non è vietato mangiare la pasta al pesto in Sicilia, gli arancini in Campania e la mozzarella di bufala in Liguria: sospetto che ovunque ci siano buoni ristoranti in grado di rifornirsi di ottime materie prime e che abbiano bravi chef...
Tuttavia, se dovessi iniziare un tour culinario, forse mangerei la mozzarella di bufala in Campania, il peso in Liguria e gli/le arancini/e in Sicilia... that's it!
Perché dovrebbe essere differente per il Budō in generale e per l'Aikidō in particolare?!
Viaggiare... o anche solo leggere libri, guardare film e documentari, ascoltare musica e apprezzare l'arte del Paese dal quale viene l'Aikidō offre un'apertura straordinaria rispetto alla disciplina stessa: la si comprende molto meglio, ci consente di entrare nella sua prospettiva
In fondo, questo Blog stesso tenta - nel suo piccolo - di portare qualche seme di cultura e di riflessione sulla disciplina che amiamo, e dovremmo chiederci come mai in Italia (così come nella restante parte del mondo) non fioccano propriamente pagine come queste...
Come se fosse un qualcosa che interessa veramente a pochi, chiediamoci se il motivo sia perché risulta inutile o se la situazione è peggiore: viviamo in un mondo che tende ad ignorare più di quanto non si affanni per conoscere?
Secondo me - purtroppo - SI...
In ogni caso, segnalo una delle tante iniziative interessanti che ci offre il territorio - fra l'altro GRATUITAMENTE! -, ovvero una serie di conferenze organizzate dall'Università Popolare di Torino, dal titolo "Conoscere il Giappone".
Si tratta di 3 appuntamenti (quando leggerete questo Post, purtroppo saranno solo più 2), organizzati dal Dott. Gianclaudio Vianzone, 3º danAikidō, praticante di Karate tradizionale, Kendō, Iaidō e Kyusho... e sopratutto Docente ordinario del corso di "Giappone oltre le apparenze" (oltre che mio carissimo amico ed allievo).
La finalità è proprio quella di diffondere un po' la cultura di un a terra e di un popolo che affascina - e che per noi coincide anche con la culla di molte delle nostre discipline -, ma che spesso osserviamo dalla lente deformata di Anime e Manga attuali, dai quali non sempre traspare chiaramente lo [大和魂] "Yamato damashii", ovvero lo "Spirito del Giappone".
Ecco le descrizioni delle due conferenze rimanenti, che si terranno presso la Sala Riunioni dell'UNIPOP, : Via Principe Amedeo, 12 - 10123 Torino.
Martedì 18 novembre 2025 - 18:30-20:00
“I RIFLESSI CULTURALI DELLA SPIRITUALITÀ GIAPPONESE"
con Mario Nan Mon Fatibene, Monaco Zen, caposcuola, fondatore e direttore spirituale del Centro Hokuzenko
Martedì 25 novembre 2025 - 18:30-20:00
“IL VALORE PEDAGOGICO DEL BUDŌ”
al quale sarà chiamato proprio il sottoscritto, in qualità di Relatore...
Non sarà che una goccia in un mare a mandorla di cose interessanti da studiare, ma credo che il nostro settore abbia bisogno di un po' di cultura in più di ciò che mostra in giro per i tatami... quindi ben venga OGNI piccolo contributo, specie se rivolto a tutti e gratuito!
Non mi attendo folle accalcate sulle transenne in attesa di entrare... tuttavia continuo a fare il tifo per ogni iniziativa in grado di far scorgere quale UNIVERSO si celi dietro ogni piccolo gesto che ripetiamo durante la pratica dell'Aikidō.
Perché di vero e proprio UNIVERSO si tratta: una vastità filosofica e culturale che rischiamo di mancare quasi del tutto nel momento nel quale iniziamo a praticare senza mai avere considerato quanto siano differenti le tradizioni che hanno dato i natali alla nostre discipline, rispetto a quelle presenti nel mondo e nella società cosiddetta "occidentale".
Dopo tutto, ci sono Aikidoka che credono davvero che il pigiama bianco che indossano si chiami "kimono"!!!
Ci si vede all'Università Popolare di Torino il 25/11, allora... oppure in qualsiasi luogo che porti un po' di spessore culturale a ciò che facciamo ogni settimana con grande passione!
Devo purtroppo dedicare un altro Post alla scomparsa di un caro collega dell'Aikido:il 4 novembre scorso è infatti mancato il Mº Agatino (Nuccio) Iuculano, 6° dan Aikikai e 5º dan FIJLKAM.
Ho avuto modo di frequentarlo poco, ma è stata comunque un'esperienzasignificativa, che mi sembra importante onorare come merita.
Direttore della Scuola Aiki Buikukai Italia, nata a Catania nell’anno 2018, Nuccio Sensei era un praticate di vecchia data, allievo diretto del Maestro Hirokazu Kobayashi, del quale fu anche spesso uke.
Non conosco bene la sua storia Aikidoistica e neppure quella personale, ma so che ha dovuto affrontare la perdita di una figlia molto giovane, quindi un lutto improvviso e molto doloroso... che credo segnerebbe la vita di chiunque.
La modalità nella quale siamo entrarti in contatto non è stata strabiliante (anche se non per responsabilità di Nuccio), poiché al secondo mandato in qualità di Presidente della Commissione Nazionale Aikido (2022) ho ricevuto comunicazione dall'allora Presidente nazionale FIJLKAM, Dott. Domenico Falcone, che un certo Sig. Agatino Iuculano sarebbe entrato a far parte della Commissione Nazionale Aikido. Al tempo non sapevo chi fosse, né che facesse parte della Federazione.
La cosa mi inquietò, poiché ci avevo messo impegno ed anche un certo sacrificio per ristabilire un trend meritocratico all'interno del Settore Aikido federale: ora veniva, in qualche modo, imposto politicamente che una persona sconosciuta assumesse una posizione di spicco, senza che fossero state le sue benemerenze a farlo scegliere con il consenso di tutto il movimento.
Mi è francamente parsa una posizione debole e molto criticabile da tutti coloro che si stavano impegnando internamente al Settore da anni e che si sarebbero così sentiti "scavalcati" - non si sapeva al tempo ancora bene da chi ed in virtù di che cosa - cioè una decisione per la quale non potevano trovarsi spiegazioni logiche... se non le logiche spesso bizzarre della politica delle istituzioni.
NuccioSensei quindi venne invitato a Torino, in qualità di Docente, durante il 2º Seminar Nazionale che organizzai presso il capoluogo piemontese (Leinì, nella fattispecie, ve ne avevo parlato QUI)... e fu quasi subito "amore", direi!
Il Mº Giovanni Desiderio ed il Mº Italo Taddeo già lo conoscevano, poiché provenivano dalla stessa Scuola (appunto il Kobayashi Ryu) ed io mi sono trovato davanti una persona realmente amante della disciplina che praticava ed insegnava da molti anni, una persona garbata, preparata, competente ed evidentemente convincente sul tatami.E per me questa risultava la cosa più importante di tutte.
Nuccio piacque per il suo modo di porsi, semplice, umile e coerente... quindi non vi furono grossi contraccolpi dal Settore Aikido stesso, anche se - da li a poco - si sarebbe aperta un'altra problematica non da poco da gestire.
Avevamo il Mº Giancarlo Giuriati già malato (infatti nel 2022 non partecipò al Seminar Nazionale) e quindi tutto il peso della Commissione Nazionale al tempo veniva retto dal sottoscritto e dal Maestro Desiderio. L'arrivo di Nuccio poteva significare una boccata di ossigeno per noi, poiché era occasione di condividere un po' di peso e responsabilità su un'altro paio di spalle: Nuccio però, sin da subito, non si mostrò molto adatto a fornirci il supporto di cui avevamo bisogno, in quanto la CN Aikido ha il 95% delle sue attività NON ambientate su un tatami... ma di fronte ad un computer, ad organizzare, mandare e-mail o stare ore al telefono.
Nuccio (forse anche giustamente dico ora!) era disposto a praticare, ad insegnare, ma non eraassolutamente interessato, e nemmeno predisposto all'immenso lavoro di organizzazione del backstage e della burocrazia in generale... intendendosi praticamente zero di qualsiasi forma tecnologica e multimedialità (ricordo ancora le problematiche nel connettersi anche solo via Zoom, ad esempio).
Quindi risultava adattissimo per tutto il lavoro di frontman necessario durante l'insegnamento, ma per nulla ottimale in una Commissione che doveva scrivere molti più documenti di quanti kotegaeshi dovesse chiudere a terra.
Pochi mesi più tardi, tuttavia, ci giunse la terribile notizia della sua malattia: un meningioma, che ha manifestato la sua presenza per la prima volta propio mentre stava rientrando da uno Stage in Francia. Ovviamente, come già fu per Giancarlo, gli chiedemmo di badare alla propria salute prima di qualsiasi altra cosa.
Subì un primo intervento alla testa e le notizie che ci giungevano, da familiari ed allievi non erano sempre incoraggianti. Si riprese molto bene, tuttavia, sorprendendo le aspettative dei medici ed iniziò nuovamente la sua attività d'insegnamento a Catania.
Nuccio però era impossibilitato a spostarsi in aereo, per via della pressurizzazione del viaggio in alta quota, quindi nel 2023 scendemmo noi con il Seminar Nazionale di Aikido a Palermo, così da poterlo includere fra i docenti. E quella purtroppo fu l'ultima volta che lo vidi.
Ricordo ancora un discorso molto toccante che fece agli allievi sul tatami: propio lui, persona semplice, schiva e di poche parole... che però volle testimoniare ai presenti la sua passione nell'Aikido e quanto essa lo avesse aiutato a riprendersi da una battuta d'arresto ancora molto provante a tutti i livelli.
Ora Nuccio Sensei non è più con noi e questa cosa mi tocca molto, perché ho avuto l'opportunità di conoscere una brava persona, dallo spirito umile e sincero, che ci ha lasciato - fra l'altro - una Scuola di ottimi praticanti, proprio nella sua Catania.
Francesco Guglielmino, suo allievo diretto, è ora il Fiduciario dell'Aikido Siciliano e potrà continuare a lavorare per l'espansione del Settore nella terra del suo amato Sensei.
Ci vorrebbero forse più persone come Nuccio al mondo: di poche parole, ma dai gesti significativi, gente che parli con i fatti e viva i propri principi in modo intimo e fino in fondo, anziché limitarsi ad ammirevoli pippozzi filosofici.
Ci scrivevamo sempre per farci gli auguri di compleanno: lui mi ha scritto lo scorso aprile, io solo lo scorso venerdì 31/10. Non credo abbia più potuto leggere il mio messaggio in autonomia, stava già parecchio male da un po'.
Che la terra ti sia lieve, caro Nuccio... ed ancora grazie per tutto ciò che hai scambiato con noi e con i tuoi allievi in questi anni intensi e veloci nei quali ci siamo frequentati!
Facciamoci qualche nemico... dicendo qualcosa di sostanziale o forse anche solo di legato al buon senso.
Abbiamo già ripetuto molte volte che le prospettive di ciascun praticante sono molto personali, quindi sacre anche solo per questa ragione: esiste tuttavia una considerevole fetta di Aikidoka- purtroppo non più di primo pelo - che insiste molto sul valore "marziale" della disciplina.... quasi SOLO su quello però.
Che nessuno è qui a negare che esista ed abbia una sua notevole importanza, fra l'altro.
Ma cosa accadde se le attribuiamo OGNI genere di importanza e trascuriamo così altri suoi aspetti fondamentali?
Mi servirò del servizio di previsioni meteorologiche per tracciare un parallelo più significativo possibile.
Se il meteo dice che pioverà, sarebbe sciocco non portare con sé un ombrello, un cappuccio o di che coprirsi... ma il meteo sappiamo bene NON essere una scienza esatta.
Per la precisione, esso sarà assolutamente affidabile SOLO alla fine dei tempi, momento nel quale avrà a disposizione tutti i dati raccolti e quindi saprà cosa è accaduto momento per momento: volendo e dovendo però essere predittivo, si basa su modelli matematici che sono molto più semplici delle leggi reali che governano la meteorologia.
Quindi spesso SBAGLIA, e non lo fa di poco: piove dove non avrebbe dovuto e non piove dove invece ci si sarebbe aspettato che lo facesse.
In questi ultimi anni, fra l'altro, le allerte meteo si stanno moltiplicando... proprio perché il clima sembra essere molto più instabile di un tempo e soggetto a rovesci bruschi e spesso purtroppo anche devastanti per persone e cose.
Allora il meteo fa del suo meglio: utilizza algoritmi parziali per decifrare e predire il comportamento di un sistema che si sta manifestando in tutta la sua complessità, SBAGLIANDO molto di più di quanto non facesse un tempo!
Allerta meteo gialla, arancione, rossa: "non mettetevi al volante, se potete"... ottimi consigli se poi si verificassero le condizioni ostili previsti, scemenze inutile e freni dannosi se poi invece non accade nulla. La statistica infondo non è altro che l'escamotage che utilizzano gli essere umani per entrare nel merito di ciò che non hanno ancora ben compreso a fondo, naturale quindi che mostri alcune lacune considerevoli.
Ora, trasliamo tutto ciò nel campo marziale: un buon guerriero è "sempre pronto" (al peggio), o questo almeno è quanto recitano i Dojo Kun di mezzo mondo (per chi volesse approfondire, ne abbiamo parlato QUI)... ma un buon guerriero NON è sicuramente uno sprecone, quindi è pronto e non pre-parato.
Essere "pronti" significa possedere le attitudini che servono per scendere in guerra, se occorre: vivere in un carro armato per essere pre-parati QUANDO e - soprattutto - SE scoppierà una guerra è faticoso, e scomodo, oltre che idiota!
Permanere nell'ossessione che dietro l'angolo ci sia sempre qualcuno pronto a rapinarmi, ferirmi, aggredirmi, violentarmi è forse più parte di una patologia psichiatrica, rispetto a qualcosa legato alle reali probabilità che mi accada qualcosa del genere.
Il mondo non è sempre un bel posto, ma non fa altrettanto sempre schifo. Prepararsi al peggio ha in sé un valore legato alla disciplina, ma è necessario fare attenzione che essa non ci snaturi e ci renda persone che sparano non appena sentono un rumore in casa... uccidendo spesso il proprio nonno, intento a cercare un po' di latte nel frigo!
Questa cosa è successa più di una volta negli Stati Uniti: uno dei luoghi più pre-parati del mondo a fare la guerra (agli altri!).
Il guardasi intorno con eterno sospetto rispecchia un atteggiamento OPPOSTO ad un principio dell'Aikido, che è invece quello di guardarsi DENTRO con altrettanta cura e cautela... poiché il Fondatore spesso ci ha ricordato che il nemico più complicato da affrontare e vincere era proprio quello INTERNO; ricordate?!
La ricerca della "protezione marziale" va molto bene se operata da un neofita assoluto, ovvero qualcuno che deve ancora iniziare a studiarsi, ma non può andare altrettanto bene se portata avanti con lo stesso fanatismo cieco da un sé dicente "esperto"... altrimenti diventa come le allerte meteo destinate a svanire nel nulla di fatto.
Mi sono sempre chiesto: "Pensa a come mi dovrei sentire se cercassi per tutta la vita a diventare pronto ad ogni evenienza, e poi non mi succedesse mai nulla fino a quando non muoio!". Mi sentirei un perfetto imbecille, che ha sprecato la vita a farsi un mazzo gigantesco per fare fronte a qualcosa che non è accaduto mai...
Le allerte meteo sono fatti per situazioni estreme, ma cosa dire di quelle ordinarie?
L'Aikido ci può servire a diventare invece bravi in situazioni che accadono molto di frequente? Credo che stia tutta qui la chiave di lettura...
Usciamo di casa sia se piove, sia se c'è il sole... sia se fa freddo, che se fa caldo: la differenza la fa quanto riusciamo a scegliere gli abiti più adatti ad ogni condizione, ovvero se sviluppiamo abilità SITUAZIONALI che possiamo utilizzare OGNI giorno, non solo durante situazioni di tipo estremo!
Se con l'Aikido avessimo l'opportunità di apprendere un modus operandi che, oltre a mantenerci in forma, ci dia supporto nell'affrontare e superare i piccoli conflitti quotidiani... allora avremo dalla nostra veramente una GRANDE ed utile risorsa.
Connetterci a chi abbiamo di fronte, poter intuire quali saranno le sue "prossime mosse", essere duttili quando veniamo colpiti sia fisicamente, che relazionalmente... sviluppare un'attitudine pro-attiva, capace di percepire sia noi, che le altre persone che si relazionano con noi allo stesso tempo...
... beh, questi sono tutti SUPERPOTERI che ci aiutano un sacco nell'ORDINARIO, e che lo fanno anche nel caso in cui lo straordinario non giungesse mai!
La protezione marziale è utile fino a quando uno dubita ancora di non riuscire a cavarsela in una situazione di pericolo, quindi è segno evidente di un bisogno di sicurezza ancora non del tutto superato.
Un Aikidoka maturo è capace di stare a proprio agio nell'insicurezza, ecco perché non cerca più la riprova della sua efficacia marziale in modo ossessivo-compulsivo...
Del resto, una persona intelligente di certo tiene conto delle previsioni meteo... ma se è anche saggia saprà farsi una sua idea propria anche buttando un occhio fuori dalla finestra.
La PRE-parazione, ad un certo punto, diventa un'ostacolo alla connessione, al buon senso ed alla semplicità.
Di recente ho realizzato esistere un vero e proprio paradosso che la maggioranza degli Aikidoka potrebbero non avere ancora colto del tutto... mi riferisco alla differenza che passa fra contestualizzazione e specificità delle nostre pratiche ed principi generali che invece possono essere estesi addirittura ad altre discipline e contesti.
Provo a spiegarmi... quando pensiamo all'Aikido, desideriamo diventare più bravi in qualcosa di specifico, o più capaci di applicare i suoi principi alla vita quotidiana?
Quando vogliamo pubblicizzare il valore inestimabile che ha per noi la pratica dell'Aikido, di solito pensiamo a cosa lo CARATTERIZZA in un modo SPECIFICO, così da poter affermare: "Mentre le altre discipline marziali puntano su questo e quell'altro modo di fare... NOI dell'Aikido andiamo in un'altra direzione..."
In questo caso stiamo utilizzando la specificità per fare emergere degli aspetti caratteristici della disciplina che pratichiamo, e che ovviamente consideriamo di enorme valore, altrimenti non ci verrebbe nemmeno da sottolinearli così tanto (la non violenza, la connessione, il rispetto per il partner, etc)!
Molti Senseiquotati anche a livello mondiale hanno creduto bene manifestare "la via dell'unicità" dell'Aikido nelle loro lezioni, nei loro libri o video-interviste. Credo sia qualcosa di molto comprensibile, e che non si possa considerare - tout court - un errore.
Ora però chiediamoci: quanto invece è stata pubblicizzata l'UNIVERSALITÀ dell'Aikido?
Quanto peso è stato dato allo studio di quei principi che studiamo nella nostra disciplina, ma che risultano gli stessi di molte altre discipline marziali, se non addirittura di altre discipline psico-fisiche, legate al movimento corporeo... o addirittura alla vita quotidiana?
Poche settimane fa, abbiamo parlato insieme dell'Aikido nelle arti espressive di movimento (troverete QUI l'articolo), ovvero dello studio mirato di tutte quelle skills che è necessario acquisire quando si muove il corpo, e che sono molto ben evidenziabili ANCHE nella pratica dell'Aikido.
Quindi, quando vogliamo promuovere la nostra disciplina, siamo più propensi a dire:
- con essa imparerai cose che non si trovano altrove?
oppure
- con essa imparerai cose importanti che si trovano ovunque?
... pensiamoci un attimo, nella mia esperienza la prima ipotesi è molto più frequente rispetto alla seconda: l'Aikido quindi - in questo caso - viene interpretato più come la somma delle sue unicità, in una operazione di ANALISI rispetto a tutto ciò che di altro si può trovare in giro.
Specificità batte universalità 1 a 0!
Veniamo però ora all'insegnamento dell'Aikido ed alle metodiche che si utilizzano per la maggiore: l'aspetto tecnico, ad esempio...
Quando ci si approccia all'aspetto tecnico, esistono differenti tipi di didattica adottabili, ciascuno dei quali si è costruito dei pattern di movimento standardizzati, ai quali chiediamo ai praticanti di aderire: una sorta di IKEA di ikkyo, kotegaeshi e kokyunage, che SCOMPONE un movimento complesso in sotto-unità funzionali più semplici, atte a far meglio digerire ad un neofita (ma anche ad un grado più avanzato) alcuni schemi che avrebbero bisogno di essere integrati fra loro.
Uno dei problemi dell'Aikido è però che questa IKEA tecnica non è nemmeno UNICA nel mondo, c'è l'IKEA Aikikai Honbu Dojo, quella dell'Aikikai d'Italia, quella dell'Aikikai di Francia... c'è l'IKEA di Iwama, quella di Kobayashi, quella del Ki Aikido...
Ciascuna Scuola ha provato a creare i suoi mattoncini lego di base ed asserisce che il modo migliore di apprendere è iniziare da una scatola che ha pochi pezzi, con istruzioni molto chiare per il montaggio!
Però, visto che i pezzi sono diversi e le istruzioni sono scritte in lingue differenti... i neofiti rischiano di restare molto confusi se frequentano approcci diversi in contemporanea, ma la vera particolarità di questo modus operandi è proprio la volontà di GENERALIZZARE il più possibile l'insegnamento.
Una sorta di catena di montaggio dell'Aikido nella quale ad ogni stazione (in modo differente a seconda della corrente Aikidoistica nella quale si è finiti) si dice ad OGNI individuo cosa deve fare se vuole apprendere: siete d'accordo che questo approccio tende ad essere (almeno negli intenti) generalista?
Ci troviamo dinnanzi alla tendenza opposta a quella analizzata prima: si cerca di standardizzare, ovvero a fare SINTESI, mettendo insieme i vari pezzi, al fine di ottenere un risultato.
Universalità batte specificità 1 a 0!
Il paradosso invece questa volta nasce dal fatto che un approccio generalista viene applicato ad individui che sono TUTTI fra loro sempre differenti per definizione: non esistono nella nostra storia due esseri umani identici, pure se nati in epoche diverse.
Ma allora com'è che vogliamo applicare un metodo standard alla bio-diversità naturale... invece di essere capaci di coglierne gli aspetti unici e creare delle didattiche specifiche per ciascun individuo?
Certo, è molto comodo trattare tutti allo stesso modo, ma ci ricordiamo che ci stiamo rapportando con esseri profondamente differenti gli uni rispetto agli altri?
Allora perché non invertire il trend e mettere a punto una didattica specifica ed individualista, laddove gli individui che devono apprendere sono effettivamente unici?
Sarebbe forse più complicato... o non si sa come farlo perché al momento solo in pochi ci sono riusciti? Fate caso che rispondere non è poi così banale...
Ho molto apprezzato ogni volta che - partecipando ad un Seminar con un grande numero di presenze - il Sensei di turno ha avuto parole per tutti, ma poi anche parole specifiche per me e ciascuno degli altri partecipanti... mostrando quindi ANCHE la capacità di entrare nel merito specifico di chi gli stava di fronte, oltre che trattarci tutti come "un fenomeno MEDIO".
Ed ecco quindi emergere il paradosso del quale parlavamo in precedenza: trattiamo una disciplina che ha al suo interno un'UNIVERSALITÀ importantissima come se avesse quasi solo SPECIFICITÀ ed UNICITÀ... mentre poi di fatto trattiamo gli individui nella loro SPECIFICITÀ ed UNICITÀ come se avessero solo tratti COMUNI. Ci avevate mai fatto caso?
Io si, perché ho pure notato che nei - rari - luoghi nei quali questo paradosso è stato compreso e la dinamica è stata invertita (almeno parzialmente) l'Aikido funziona meglio, sia a livello di singolo Dojo, sia a livello comunicativo rispetto alla community dei potenziali interessati alla disciplina, ma che ancora non la conoscono.
Fateci caso, se avete voglia o la cosa vi ispira: l'Aikido utilizzato per apprendere principi generali ed insegnato in modo specifico raggiunge obiettivi impensabili per l'Aikido utilizzato a raggiungere scopi specifici, utilizzando metodologie generali.
Forse questa è una delle sfide del nostro secolo per la disciplina, che di per sé ha tutti i numeri e le caratteristiche per fare un grande valore aggiunto fra gli individui... ma che viene usata in modo ben poco ottimale da quelli che consideriamo "addetti ai lavori"...
Ed, in generale, auspichiamo il successo dei "grandi numeri", senza ricordare che essi sono la somma di tante importantissime unicità da onorare.
Mi rendo conto che questo Post è riservato a chi pratica già Aikido da un po', ma quest'oggi metto un po' da parte la divulgazione per fare insieme qualche importante riflessione su un ruolo complicato e raramente identificato a dovere: mi riferisco all'uke del Sensei... la persona che ha oneri ed onori molto particolari all'interno di una lezione.
Viene utilizzato molto il metodo giapponese, basato sull'apprendimento per imitazione... quindi ovvio che l'Insegnante dovrà simulare con QUALCUNO quello che dovrà poi accadere in ciascun a delle coppie che si verranno a formare sul tatami.
Tradizionalmente il Sensei è tori/nage (colui che riceve l'attacco e performa la tecnica), quindi ha bisogno di un uke (colui che attacca e riceve la tecnica) per formare la diade di persone che poi si scambierà ruolo in continuazione durante la pratica di gruppo.
Ma chi sceglie? E sulla base di quali caratteristiche lo sceglie?
Teniamo presenti alcuni punti importanti:
- l'Aikido ambienta la sua azione nel conflitto, di natura soprattutto fisica;
- se chi attacca il Sensei non lo fa nel modo "migliore", risulterà complicato per quest'ultimo rendere l'idea di cosa desidera che si pratichi fra i presenti;
- se chi attacca si predispone ad essere il burattino del Sensei, viene a mancare il presupposto del conflitto... e tutto si trasforma in una recita finta.
Qui notiamo subito che uke ha un doppio mandato non semplice da attuare: da un lato deve dare supporto al Sensei perché questi riesca a spiegare nel modo più chiaro possibile la tecnica o gli esercizi che vuole proporre al suo gruppo; dall'altro lato, egli non è SOLO li per facilitare l'Insegnante, ma per permettere al gruppo di osservare come egli affronta un conflitto... quindi gliene deve creare almeno uno.
Da praticante prima e da Insegnante poi, so bene quanto è labile questo confine... Da uke sono stato redarguito monte volte dal Sensei per attacchi troppo energici o troppo blandi, così come da Insegnante mi è capitato spesso di avere un uke che non stava comprendendo di cosa avessi bisogno da lui per mostrare al meglio cosa stavo cercando di indicare al gruppo.
Ci sono uke che se fossero chiamati come miei partner sarebbero capacissimi di crearmi un tot di problematiche da superare, ma non sono sicuro che così facendo riuscirei a rendere al 100% con chiarezza ciò che desidero si eserciti e si apprenda nella pratica a coppie.
Un caso tipico è quando l'Insegnante chiama un principiante, che magari non attaccherà poi così intensamente, ma si metterà con il corpo in posizioni stranissime e pure pericolose per sé... quindi tutta l'attenzione del Sensei non andrà nel tenere un movimento pulito e linee chiare, ma dovrà adattarsi in continuazione per far si che il proprio compagno non si faccia male (quasi da solo).
Il "challenging" in questo caso è presente, ma non è derivato da un grande conflitto... ma piuttosto da qualcuno che non sa ancora bene come calzare il proprio ruolo.
Si cresce durante questo tipo di esperienza/scambio? Beh, forse si, ma non è ciò che serve maggiormente a chi sta osservando per poi tentare di copiare più fedelmente possibile! E l'Insegnate è li primariamente per fare crescere gli allievi, non per pensare a sé...
C'è poi l'ukepiù esperto, che - di contro - per far si che la rappresentazione di ciò che ha in mente il Sensei sia più chiaro possibile, diventa un vera e propria "scimmia" ammaestrata di quest'ultimo. Nel suo desiderio di fare al meglio il suo ruolo e dare supporto all'Insegnante... esagera con questa prospettiva e si muove ancora prima del dovuto, cade prima del dovuto, esagera platealmente l'efficacia di qualsiasi cosa gli venga proposto.
Ingigantire ciò che è piccolo può essere una specifica modalità di insegnamento, anche parecchio efficace, a dire il vero, ma cosa accade quando questa cosa viene portata all'esasperazione?
Che il conflitto viene meno del tutto, e il Sensei si trova a proporre un movimento o una tecnica su una persona succube, anziché nei confronti di un attaccante. Anche questo uke, pur mosso dalle migliori intenzioni, non aiuta più di tanto il processo di apprendimento dei presenti!
Infine c'è l'uke del "se vuoi farmi una tecnica, te la devi guadagnare!", ovvero quello che farà più ostruzione possibile all'Insegnante per metterlo sul serio dinnanzi ad un conflitto da superare: non male come atteggiamento, in generale... ma dobbiamo chiederci: è ciò che rende maggiormente chiaro al gruppo cosa poi dovrà allenare?
A volte si, altre meno...
Capite bene che anche solo questi 3 atteggiamenti estremi sono sempre un po' mischiati fra loro... e di certo l'uke chiamato dal Sensei farà del suo meglio, ma il punto è: ha compreso cosa sia più utile in quel momento specifico?
Se insegno una tecnica ad un principiante, non credo utile che il mio partner mi faccia parecchia ostruzione, poiché desidero che la rappresentazione di ciò che faccio sia più chiara possibile: rinuncio ad avere un conflitto reale da superare per permettere ad un neofita di capire bene quale mano e quale piede si muove per primo. L'esagerazione di questa prospettiva, porta alla "recita falsa" della quale parlavamo poc'anzi, quindi è bene saperlo per evitare che questa divenga un'abitudine.
Se insegno qualcosa che conosco bene, ad un pubblico di persone mediamente più preparate, non è un grande problema se il mio uke"me la faccia sudare un po'"... poiché questo potrebbe essere un buon momento per introdurre ANCHE la pratica con un compagno NON collaborativo. Ad un certo punto è necessario farlo: la difficoltà sta solo nel comprendere QUANDO è possibile introdurre questo livello, senza venire fraintesi. La pratica dovrà essere molto adattiva, quindi facile che vengano meno le pulizie delle linee e degli spostamenti tanto cari ad un allenamento di base.
Se spiego qualcosa che anche per me è al limite di ciò che conosco, ed - anzi - mi sto lanciando in una sperimentazione... beh, questo è nuovamente un momento improprio per fare resistenza e non essere collaborativo... perché già io stesso NON sono nella mia zona di comfort, se poi pure l'altro inizia a fare l'Aiki-stronzo, facile che ne venga fiori qualcosa di incomprensibile per chi ci sta osservando!
Notate quindi ad come uke sia richiesto di comprendere - di volta in volta - cosa implichi la situazione che il Sensei vuole rappresentare grazie a lui... Proprio perché questi casi non saranno tutti uguali.
Ci sono persone chiamate SPESSO a fare da uke all'Insegnante, i cosiddetti "prediletti"... e invece chi è chiamato a farlo quasi mai: all'interno di un gruppo questo può generare tensione, poiché alcuni si percepiscono "visti" dal Sensei, ed altri sembrano venire lasciati nel dimenticatoio.
In realtà con alcune persone riesce più facile rappresentare qualcosa, rispetto ad altre, ed è necessario farlo comprendere bene, sopratutto a chi è chiamato di meno, per rassicurarlo che non si tratta di discrimine, ma di una scelta che viene fatta a favore dell'interno gruppo, scevra da simpatie o antipatie di tipo personale.
Questo spinge anche le persone scarse come capacità di ukemi a divenire degli uke più completi: l'ambizione di divenire uke del Sensei può stimolare anche questo, in alcuni tipi di persone. Molti lo vivono come una sorta di "merito": se questa cosa non è esagerata, può anche essere un incentivo ulteriore da sfruttare. Di certo non deve rappresentare uno status symbol per sentirsi superiori o migliori degli altri praticanti, però!
Poi ci sono i Seminar... Qui le cose non stanno in modo molto differente, ma si evidenziano dinamiche nuove ed ulteriori, rispetto a quanto avviene regolarmente al Dojo.
Essere l'uke di un Maestro di alto rango che insegna ad un Seminar al quale partecipano centinaia di praticanti è un bella responsabilità, e lo dico per esperienza personale: c'è da offrire tutto il supporto possibile all'Insegnante, utilizzando molto l'empatia con quest'ultimo, senza risultare mai banali nel proprio modo di porsi... sapendo bene che la sua possibilità di intervenire con rimandi chirurgici dipenderà ANCHE dal proprio atteggiamento e propensione.
Conosco praticanti - specie se già Insegnanti - che darebbero un rene e qualche metro di intestino per farsi immortalare in foto e video mentre fanno da uke al Maestrone di turno: quasi a dire che il loro livello è alto perché solo stati "scelti" fra 1000 altri nel delicato compito di servire il Sensei.Persone che hanno seri problemi con la propria self-confidence, evidentemente... se sono costretti ad abbinare il proprio valore a quanto siano stati vicini a qualcun altro che credono possederne molto!
Ma torniamo a cose più utili...
Ci sono Sensei che si portano dietro i loro uke personali, i cosiddetti [お供] "otomo", ovvero gli "assistenti". Questi ultimi conoscendo già il codice di pratica del proprio Maestro, riescono a servirlo con l'atteggiamento più adatto ai suoi insegnamenti; io stesso so bene che differenza passa quando qualcuno dei miei allievi mi segue in qualche Seminar, rispetto a quando devo fare utilizzo di qualche "indigeno locale" per farmi da uke... Ovvio che nel primo caso, mi sento più supportato ed agevolato nell'insegnamento.
Però è anche vero che, più l'abilità del Docente è elevata, meno avrà in proporzione bisogno di portarsi gli uke "da casa", poiché riuscirà a rendere comunque bene ciò che vuole tramettere con chi incontrerà sul suo cammino.
Ho sviluppato molta attenzione, quando partecipo ad un Seminar di qualche altro Insegnante, se questi chiama SOLO le persone che conosce bene o se pratica e insegna anche toccando persone mai viste in precedenza.
Quelli che fanno cose fighissime a patto di realizzarle SOLO con chi già conoscono a menadito potranno essere ottimi didatti, ma tendono a perdere un po' lo spirito di adattamento tipico del Budo; se invece il Sensei utilizza il suo otomo nella spiegazione generale, ma poi è in grado di fare sentire ad ogni singolo partecipante cosa intendeva, andando a lavorare nelle varie coppie... beh, questo mi rimanda una sua maturità tutta differente rispetto all'insegnamento!
Il paradosso è quindi il seguente: quando fra il Sensei ed il suo uke esiste una grande affinità empatica sarà molto più semplice per la loro coppia manifestare armonia, e questo è uno degli elementi che come allievo è più semplice leggere e poi provare a ripetere nella coppia nella quale ci troveremo a lavorare.
Quando il Sensei non conosce nulla del suo uke (e viceversa) sarà molto più VERO l'Aiki che entrambi riusciranno CREARE, senza scimmiottare schemi che hanno già ben imparato a memoria entrambi; qui il livello si alza di parecchio, poiché il conflitto torna ad essere concreto e la capacità di adattamento necessita di essere fulminea (da parte di entrambi); facilmente ciò che emergerà sarà meno prevedibile e forse tecnicamente anche più "sporco", ma più autentico di sicuro.
È un po' lo step nel quale si passa dalla forma alla sostanza, ma è raro imbattercisi... perché la maggioranza degli Aikidoka (e dei Sensei) sono ancora tutti occupati a costruire le loro forme tecniche: studiano l'alfabeto, più che provare ad esprimersi tramite ad esso.
Un altro paio di punti finali...
Esiste una componente della quale stare molto attenti, mentre ricopriamo il ruolo di uke del Sensei, ovvero quello del "rispetto/timore reverenziale" per la persona che abbiamo dinanzi.
Gli uke del Fondatore - quando questi aveva 85 anni - lo attaccavano ancora al massimo della loro intensità possibile, o si rendevano conto di avere di fronte una persona anziana, con le conseguenti limitazioni di movimento che essa può presentare?
Io non c'ero, ma chi gli ha fatto da uke a qual tempo ci ha rimandato come avessero anche molta CURA di lui, nel senso che non lo esponevano a rischi gravi della sua incolumità: questo è umanamente comprensibile. O' Sensei, di contro, si arrabbiava molto sia quando non veniva attaccato con spirito sincero, sia quando - a suo dire - veniva attaccato con una potenza e velocità maggiori delle capacità di ricevere indietro la propria energia.
In parole povere, non voleva essere né compatito, né era d'accordo di dover franare il suo kiper non ferire quelli che guidavano più veloce di quanto riuscissero a fare le curve!
Io ho sviluppato tardi, diciamo, il "rispetto reverenziale" per chi era in un dato momento il mio Sensei... fra me pensavo: "Se sei tu che devi insegnarmi qualcosa, sei tu che hai l'onere di cavartela dai problemi che ti creo!".
Un pensiero marzialmente forse valido, ma che non tiene conto di alcuni fattori che ora che ho più di 50 anni capisco bene pure io; ad esempio, ricordo una volta di essere stato chiamato dal Maestro De Compadri durante uno Stage Nazionale FIJLKAM ad Ostia per fargli da uke su una tecnica dijo dori.
Io e Fausto Sensei ci conoscevamo bene, ma non lavoravamo insieme molto spesso, se non forse proprio in occasione di eventi nazionali o regionali simili... Quello che accadde mi dispiacque un tot, poiché lui mi proiettò come era solito fare con i suoi partner di allenamento, che erano però molto più grossi e rigidi di me, quindi pure più facili da sbilanciare.
Io invece assorbii interamente la sua azione e rimasi li fermo come un palo, mandandogli completamente in vacca la tecnica (non mi riferisco a NULLA che compare nel video precedente). Poi, una frazione di secondo più tardi, comprendendo cosa lui avrebbe voluto che io avessi fatto... mi sono proiettato da solo, quasi a voler mettere una pezza su quello che era accaduto.
Solo che una persona un minimo esperta se ne accorge subito se è il fake così clamoroso!
Chi aveva "sbagliato": lui come tori a non riuscire a capottarmi sul serio, o io come uke a non volare come un fuscello?
Non credo che qualcuno abbia sbagliato nulla, col senno di poi, ma certamente (entrambi) manifestammo il limite dell'Aiki che desideravamo possedere, ma che non era ancora nostro come avremmo voluto che fosse.
Ora il mio Sensei ha una decina di anni abbondanti più di me, e se lavoriamo insieme comprendo bene e subito quando averne cura ed invece quando creargli challenging serio: in uno sguardo si decide tutto!
Ci ho messo però quasi 35 anni ad imparare a fare da uke a questo livello di sensibilità/decisione: comprendo quindi molto bene come non possa essere per nulla qualcosa di scontato dopo pochi anni, o addirittura solo mesi di pratica.
Un ultimo rimando: nelle Arti Marziali tradizionali giapponesi, l'uke veniva anche chiamato [基立ち] "motodachi", che si traduce con "posizione di base" e si riferisce al ruolo del partner più esperto nella pratica, spesso un Istruttore, che fornisce una base stabile e di supporto al partner meno esperto per esercitarsi e sviluppare le proprie abilità.
Non si tratta solo di fornire attacchi e ricevere tecniche passivamente, ma di guidare attivamente lo sviluppo dell'altra persona attraverso un'attenta interazione e un feedback.
In Aikido c'è l'abitudine a far partire il Senpai nel ruolo di tori/nage e la persona meno esperta in quello di uke: beh sappiate che, la complessità di quest'ultimo ruolo, un tempo aveva fatto si che fosse proprio il più esperto a fare prima da uke, proprio perché ciò gli dava più opportunità di comprendere meglio di che cosa il compagno avesse più bisogno per crescere.
Il ruolo dell'uke del Maestro è dunque delicato ed importante, poiché richiede sensibilità, empatia, decisione, disponibilità, apertura, ingaggio, presenza e focalizzazione: non è poi raro che - quando il Sensei da il via alla pratica - ci possa essere un po' la corsa per lavorare con chi è appena stato il partner dell'Insegnante...
...ovvero, verso chi dovrebbe possedere una comprensione maggiore di tutti gli altri dell'esercizio proposto, essendo appena stato "sotto i ferri" del Sensei!
Un altro modo di "capire" diventa "sentire", sulla propria pelle... e questo è forse il regalo più grande che si porta a casa chi si è donato interamente al suo Insegnante.